
Genealogia è il terzo album del Perigeo, e segna un cambiamento significativo rispetto ai due precedenti, Azimut e Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere.
Se nei primi due lavori la band esplorava sonorità più sperimentali, con Genealogia il gruppo si muove verso un approccio più tradizionale alla fusion, pur mantenendo una forte componente di improvvisazione e un livello musicale altissimo. È un disco che sorprende per la sua semplicità e spontaneità, che lo rendono più accessibile, ma al tempo stesso custodisce una profondità emotiva che non si dimentica. È questa combinazione di immediatezza e introspezione ad avermi colpita fin dal primo ascolto.
Perché Genealogia è stato, per me, il punto di svolta. L’album che mi ha fatto innamorare del Perigeo. Non solo per la musica, ma per il mondo che mi ha aperto: uno spazio dove potevo riconoscermi, perdermi, ritrovarmi. Dove ogni traccia sembrava raccontare qualcosa che avevo dentro, anche se non avevo mai trovato le parole.
L’album si avvicina maggiormente alle sonorità rock, ma lo fa senza rinunciare al linguaggio raffinato del jazz e della fusion. È un equilibrio raro, e forse proprio per questo così affascinante. Il Perigeo riesce a mantenere una voce propria, riconoscibile e profondamente italiana, pur attingendo a influenze internazionali. Il suono del Moog, i fraseggi del sax, le chitarre liquide: tutto contribuisce a creare un’atmosfera viva, vibrante, a tratti malinconica ma mai statica, mai fredda. C’è una sincerità struggente in queste note.
I brani dell’album attraversano paesaggi emotivi molto diversi. (In) Vino Veritas ha un’intensità quasi viscerale, mentre Polaris si avvicina al kraut rock con un’energia che scuote. Ma sono Via Beato Angelico e Monti Pallidi a toccarmi più profondamente: in quei brani sento qualcosa di intimo, di fragile e autentico. C’è una delicatezza che mi commuove, una malinconia che somiglia alla mia. È come se il gruppo, senza dirlo apertamente, parlasse di assenze, di silenzi, di cose perdute ma ancora vive nel ricordo.
La title track Genealogia apre l’album con una delicatezza disarmante: chitarra acustica jazzata e pianoforte dai toni folk si intrecciano in un dialogo leggero ma pieno di senso, arricchito da un assolo di basso e dal Moog che entra come un soffio elettrico. Polaris invece è tutta un’energia che pulsa, un funk-jazz elettrificato che dimostra la fluidità con cui il gruppo sa muoversi tra i generi. Torre del Lago evoca una quiete pastorale, un momento di sospensione. Via Beato Angelico è un brano che sembra fatto per accompagnare immagini mai viste ma familiari, mentre Monti Pallidi è una carezza di luce e neve, un esempio perfetto di fusion poetica. Grandi Spazi è il brano che mi fa chiudere gli occhi e partire, ogni volta, in un viaggio silenzioso. Old Vienna ha una leggerezza notturna, quasi cinematografica. E Sidney’s Call chiude l’album con un respiro lungo, che parte sereno, si accende, e poi torna dolcemente da dove era partito.
Con Genealogia, il Perigeo tocca un punto di grazia. È un album maturo ma ancora pieno di slancio, ispirato ma mai pretenzioso. Una sintesi riuscita di acustico ed elettrico, di tradizione e modernità, di influenze lontane e radici profonde. Ma per me è molto più di questo. È un disco che sento mio, che accompagna i miei silenzi, le mie nostalgie, i miei pensieri in penombra.
È un luogo dove torno volentieri, ogni volta che ho bisogno di ricordarmi chi sono quando smetto di recitare.