Chega de Saudade (basta con la nostalgia). Inizia così una delle canzoni più rivoluzionarie della musica brasiliana. Eppure il suo messaggio non è un semplice addio alla saudade, ma un modo nuovo di abbracciarla. Composta da Tom Jobim e Vinícius de Moraes, e immortalata dalla voce e chitarra di João Gilberto, è un capolavoro che trasforma la saudade – uno stato d’animo che è riduttivo tradurre con una sola parola – in arte pura.
A me piace molto questa versione di Gal Costa.
Era il 1958, e il Brasile viveva tra samba tradizionale e canzoni sentimentali da radio. Poi arrivò João Gilberto, con la sua chitarra percussiva e una voce sussurrata, a trasformare tutto. “Chega de Saudade” non era solo una canzone: era un nuovo modo di sentire. La bossa nova nasceva come un jazz malinconico vestito di luce tropicale, dove la sofferenza non urlava, ma sussurrava.
Il testo di Vinícius de Moraes dice:
“Chega de saudade / A realidade é que sem ela não há paz”
(“Basta con la nostalgia / La verità è che senza di lei non c’è pace”)
Paradossalmente, la canzone che dice “basta” alla saudade, in realtà la celebra, rendendola più dolce.
La Chitarra di João Gilberto è un respiro affranto, quel batida ritmico, con le dita che sfiorano le corde con precisione ipnotica, è come un cuore che batte tra speranza e rassegnazione. Non è un caso che molti abbiano provato a imitarlo, ma nessuno ha mai replicato quel dolore contenuto.
Gli accordi di Jobim sono malinconia distillata in musica. Passaggi cromatici, modulazioni improvvise, un gioco tra maggiore e minore che sembra dire: “Sì, sono triste, ma guarda com’è bello esserlo.” Il Testo di
Vinícius de Moraes, poeta dell’anima, è un Addio che suona come un abbraccio, versi che non negano il dolore, ma lo accarezzano:
“Vai minha tristeza / E diz a ela que sem ela não pode ser”
(“Vai, mia tristezza / E dille che senza di lei non posso stare”)
È un commiato, ma anche un’ammissione: la saudade è parte di noi, e forse, in fondo, non vogliamo davvero che se ne vada.
“Chega de Saudade” ha influenzato Stan Getz, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, e intere generazioni di musicisti. Ma la sua eredità più grande è aver insegnato che la malinconia può essere elegante, sofisticata, persino bella. Non a caso, João Gilberto la cantava con una voce così intima da sembrare un segreto sussurrato all’orecchio. E forse, in quel sussurro, c’è la verità più profonda: la nostalgia non si combatte, si abita. Non è solo una canzone, ma uno stato d’animo. È quella strana pace che arriva quando smettiamo di fuggire dalla tristezza e invece le diamo spazio, e la rendiamo musica.
E allora, ascoltandola, chiudi gli occhi. Lascia che la voce ti canti all’orecchio:
“Mas se ela voltar, se ela voltar / Que coisa linda, que coisa louca”
(“Ma se tornasse, se tornasse / Che cosa bella, che cosa folle”)
Perché forse, dopo tutto, la saudade è l’unico modo per ricordarci che abbiamo amato, e che amare ancora è sempre possibile.
La foto del titolo è di Silvio Tanaka da Wikimedia, licenza CC BY-SA 2.0