Reunion

Questo album nasce da un antefatto: Pat Metheny fu allievo di Gary Burton, e quella che ebbe inizio come una relazione tra maestro e studente si trasformò nel tempo in una collaborazione profonda, nutrita da stima reciproca e da una visione musicale condivisa. Il loro album Reunion non è solo una testimonianza della loro intesa artistica, ma anche una celebrazione silenziosa del legame umano che li unisce.

A me piacciono entrambi, la creatività Pat Metheny, che io associo sempre al compianto Lyle Mays, e le sonorità del suo gruppo; la maestria di Gary Burton ad uno strumento sempre meno usato, il vibrafono, che ha sonorità che mi riportano all’infanzia, quando sentivo in famiglia i dischi di Lionel Hampton.

E’ una testimonianza, come tante altre nel mondo dell’arte, che ci ricorda il valore raro dell’amicizia che cresce attraverso la collaborazione. Quando due anime si incontrano e imparano a parlarsi con linguaggi complementari — nel loro caso, quello della musica — accade qualcosa di più grande della somma delle singole parti. Si costruisce uno spazio comune dove la fiducia permette di esplorare, di rischiare, di sbagliare persino… senza paura di essere giudicati.

Le collaborazioni più autentiche sono quelle che si nutrono nel tempo: non hanno bisogno di continue conferme, ma maturano in silenzio, attraversando le stagioni delle vite individuali. Così, quando ci si ritrova — dopo anni, magari — ci si riconosce ancora, con uno sguardo complice e una nota che sa dove andare, come se nulla fosse cambiato.

È anche questo, forse, il potere dell’amicizia vera: sapersi rivedere nel tempo con occhi nuovi, eppure familiari. Essere ancora capaci di creare qualcosa insieme, anche dopo il silenzio, anche dopo le distanze.

L’immagine è di marco forniz da Flickr, licenza CC BY-ND 2.0

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