Mimosa

“Off the Top” è un incontro d’élite, un summit elegante di vecchi amici e maestri del groove.

Con il suo Hammond B-3, Jimmy Smith torna a imporsi come il grande architetto del soul jazz, e lo fa circondato da un cast stellare: George Benson alla chitarra, Grady Tate alla batteria, Ron Carter al contrabbasso e Stanley Turrentine al sax tenore.

È jazz d’alto livello, ma con un’anima decisamente calda e rilassata, da club fumoso più che da aula universitaria.

Il disco si apre con “On the Sunny Side of the Street”, e basta questa traccia per far capire che la chimica tra i musicisti è tangibile: swing naturale, interplay fluido, sorrisi che si intuiscono dietro ogni nota. Smith non forza mai la mano, lascia che il groove respiri, mentre Benson dispensa fraseggi brillanti con la sua solita eleganza.

La ‘title track’, “Off the Top”, è una jam rilassata ma energica, che vibra tra soul e blues con quell’inconfondibile sapore notturno. Smith qui è nel suo elemento: una miscela di virtuosismo mai esibito e una profonda sensualità ritmica. Turrentine si inserisce con il suo tono corposo e carezzevole, mentre Carter e Tate sono la colla invisibile che tiene tutto insieme con precisione chirurgica.

Tra le perle dell’album spicca “Autumn Leaves”, forse il brano più contemplativo e lirico del set. Qui Smith cesella ogni frase come se stesse scrivendo una lettera d’amore all’autunno stesso. Benson gli risponde con una delicatezza che sorprende e incanta.

Ma fra tutte le tracce di Off the Top, “Mimosa” è la mia preferita, che brilla come un momento di sospensione rarefatta.

È un brano che non ha fretta, che si apre come un fiore al sole del tardo pomeriggio. Il tema, semplice ma elegantissimo, è portato con pudore da Smith, che qui abbandona ogni velleità virtuosistica per lasciare spazio alla purezza dell’intenzione.

George Benson – autore del brano – accarezza le armonie con un tocco quasi liquido, mentre Turrentine si insinua con la voce calda del suo sax, come se stesse raccontando un segreto a bassa voce. E’ un brano tenero, colonna sonora di un pensiero dolce, una memoria leggera che riaffiora inaspettata.

È un brano che ti fa venir voglia di sederti al pianoforte senza meta, seguendo solo il respiro delle note e lasciandoti trasportare da quella malinconia gentile che non fa male, ma anzi consola.

Consolida l’impressione generale di un disco che non cerca l’effetto, ma l’intimità. Non è un album che urla per farsi notare, ma uno che ti chiama con voce bassa, sicura, e ti invita ad ascoltare da vicino.

La foto è del National Museum of American History Smithsonian Institution da Flickr, licenza CC BY-NC 2.0

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *