Monk

Nella primavera del 1963, Thelonius Monk stava entrando in una nuova fase della sua carriera. Aveva firmato per la Columbia Records e stava per ottenere una maggiore riconoscibilità pubblica, culminata con la sua apparizione sulla copertina della rivista Time nel febbraio del 1964. Era solo il quarto musicista jazz a ricevere questo onore, dopo Louis Armstrong, Dave Brubeck e Duke Ellington.

In quell’anno Monk intraprese un tour trionfale in Giappone con il suo quartetto, composto dal sassofonista tenore Charlie Rouse, il bassista Butch Warren e il batterista Frankie Dunlop. Una parte di questo tour è documentata in “The Classic Quartet”, una registrazione monofonica estratta da una trasmissione televisiva giapponese del 23 maggio 1963.

Non è chiaro il titolo del disco – Monk aveva lavorato con altri grandi del jazz, come John Coltrane. Ma è un dettaglio poco rilevante, vista la qualità del prodotto finale, tutto costituito da composizioni di Monk, con la sola eccezione di Just a Gigolo.

La registrazione mette in evidenza la complessità armonica di Monk, che utilizza una combinazione di pause, trilli e accordi ripetuti in modo martellante per creare un fraseggio unico e dinamico, mantenendo comunque il senso dello swing.

Il mio brano preferito rimane Blue Monk, un suo classico che combina semplicità e complessità armonica, in uno pianistico inconfondibile, percussivo e piacevolmente dissonante.

Il video è registrato nel 1966 rende evidente come Monk usi una melodia blues semplice, ma geniale, per creare una improvvisazione ricca di swing e creatività.

È un capolavoro che, nella sua apparente semplicità, sfida i musicisti a trovare la propria voce, rimanendo al contempo un classico intramontabile.

L’immagine è di Mallory1180, fonte wikipedia, licenza CC BY-SA 4.0

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